Di creatività i pedagogisti hanno parlato tantissimo.
Lei come la intende ?
“Uno scrive o disegna: c’è un momento in cui scopre che quanto ha affidato al foglio è meglio e diverso di quanto aveva in testa.
La prima volta pensa: toh, mi è riuscito. La seconda può pensare che di nuovo sia stato un caso. Ma la terza volta è fatta, il ragazzo è iniziato, è preso in un sistema che è come una droga, la sola droga gentile che esiste o forse il solo antidoto alla droga, nel senso di una cosa che ti prende e non ti lascia più”
Lucia Veronesi, un lieve battito d'ali - Caracas 2006 |
“Tanti non sentono la chiamata perché nessuno li aiuta. Nessuno gli dice che è un atteggiamento di vita, un rifiuto del precotto, disobbedienza, autonomia. Ecco, dobbiamo insegnare a essere liberi nel pensiero. Poi gli possiamo insegnare perché si fanno certe cose e come si fanno.
[…] Sul perché mi sono sempre interrogato. L’impertinenza, in un giovane, aiuta. Ero pasticcione nel leggere ma mi piaceva, e il leggere aiuta l’impertinenza a strutturarsi. Ma ho avuto anche un’altra fortuna. Sono figlio di un costruttore e fin da ragazzo ho assistito al miracolo di vedere costruire. Il come mi è venuto naturale. L’autonomia si ha con queste due cose, il perché e il come.
[…] La cultura di cui siamo eredi è di una qualità tale che ci paralizza. Appartenere a questa cultura è come nascere in una famiglia di principi: il peso della sua storia ti può schiacciare. A volte viene da dire: viva il deserto, se lo sappiamo fecondare! Dico queste cose ma poi io sopravvivo grazie al passato, a questa miniera”.
[…] Allora bisogna capire come si può trasmettere cultura senza creare complessi di inferiorità, né sindromi di nostalgia.
“È questo, il problema dell’Università. Lì è difficile fare bottega e forse per questo spesso paralizza, impedisce il gesto coraggioso che è il solo gesto creativo.
Margurite Yourcenar dice che creare è come guardare nel buio. Io aggiungo solo che occorre l’insolenza per farlo.