E altre centinaia di facce anonime, dove la varietà dei tratti somatici riflette il miscuglio di razze dell’Egitto romano.
[…] E’ un po’ inquietante questa teoria di facce di duemila anni fa, questa sequenza di volti scampati miracolosamente all’oblio.
Sono ritratti di un realismo vivido, impressionante, dove colpisce la strana malinconia degli sguardi. Erano tempi, scriveva Gustave Flaubert, “in cui gli dei non esistevano più e Cristo non esisteva ancora”; e “l’antica malinconia” aggiungeva “era diversa da quella di oggi. Senza grida, senza spasmi: si raccoglieva tutta nell’immobile fissità del volto”.
[…] Tutti insieme rappresentano uno snodo cruciale nella storia della pittura europea: l’anello che collega i dipinti, perduti, dell’antichità greca con quelli bizantini. I ritratti del Fayum sopravvivono nelle icone del Cristo Pantocratore o di san Paolo, databili al VI secolo, conservate nel monastero di Santa Caterina, sul Sinai: la stessa tecnica (l’encausto, con i colori mischiati alla cera fusa), lo stesso intenso modo di dipingere gli occhi.