Ha capito che la sua ricerca pittorica si sarebbe sviluppata lontano da ogni assioma, e in perenne squilibrio fra due sentimenti opposti, uno votato all’ordine del progetto e uno alla sua trasgressione. La geometria, istanza radicata in lui da un antico amore per il costruttivismo e il neoplasticismo, prese a darsi così nella sua pittura un’immagine disarticolata, contraddittoria, ovunque franante; “sbagliata”, infine, e disposta a sedurre lo sguardo sulla sua presunta certezza solo per fargli in ultimo intendere la complessità del reale, la sua irriducibilità ad un unico modo di conoscenza.
A questo modo di pensare e d’essere, Perilli non ha più rinunziato: avendo deposto, di Dada, l’ironia ad ogni costo dissacrante (perché sa adesso che, trascorsi quegli anni necessari ma solo distruttivi, occorre sperare di costruire di nuovo), ma non la feconda ambiguità, l’oscillazione costante del pensiero, il dubbio come fonte di possibile verità.
Fabrizio D’Amico