[…] Disegnatore di
altissimo livello, nell’uso del nero, del grigio, dei bruni e particolarmente
del bianco riesce a sfruttare al massimo la minore abilità quale colorista. Per
de Kooning il nero diviene un colore, non lo schema indifferente del disegno,
ma una tinta con tutte le risonanze, ambiguità o variabilità del prisma. Steso
in modo liscio ed uniforme in forme pesantemente somatiche su di una tela non
ammassata, questo nero identifica la superficie fisica del dipinto con
un’evidenza che altri pittori ottengono soltanto con pigmento coagulato.
[…] De Kooning,
insieme a Gorky, Gottlieb, Pollock e diversi altri contemporanei, si è ridotto
al nero nel tentativo di mutare composizione e disegno della pittura
postcubista immettendovi forme più aperte, ora che il canone della forma chiusa
(il canone della figura profilata e circoscritta), così come Matisse, Picasso e
Mirò, sembra sempre meno adatta a rappresentare il sentimento contemporaneo.
Nell’insieme tale canone non è stato spezzato, ma sembra che
la possibilità di originalità e grandezza della nuova generazione di artisti
ora al di sotto dei cinquanta anni dipenda da tale rottura.
[…] Non perché fosse fatalmente drammatico l’approdo della
sua pittura maggiore: ma perché quell’approdo (se mai de Kooning ne abbia
ammesso uno: lui che diceva di ritenere finito un quadro soltanto quando
qualcuno o qualcosa faceva si che esso scendesse a forza dal cavalletto, dove,
se fosse rimasto, - e così fu per uno dei suoi capolavori, Woman 1, - avrebbe
potuto stare, e ogni giorno cambiare, per anni) passava sempre, e fatalmente,
per i gesti interminabili, quotidiani,
ossessivi, che egli aveva individuato come necessari alla
pittura.
Per questo, per tutti i suoi anni maggiori, aveva steso
colore e l’aveva raschiato via dalla tela, aveva scritto segni che aveva poi
cancellato, e cento volte aveva allargato gesti che aveva poi sommerso di altri
gesti, e colori, e luci; ogni volta diversi, perché ogni volta tentavano di
farsi simili, di stringersi alla vita; perché alcuni pittori, e fra essi io
stesso, pensano che la pittura, non importa quale pittura, né quale stile di
pittura, per essere davvero pittura, sia non altro che una maniera di vivere.
[…] Dentro questi suoi anni estremi, egli, che come Gorky era
stato per Picasso, nominò più volte Matisse: ripensò al ritmo della prima
Danza: a quella carola rosa intrecciata lieve in uno spazio senza peso, verde e
azzurro; ripensò al Matisse gioioso degli anni estremi: e certo intese, in lui
e nei colpi netti della sua forbice sulle carte ritagliate, il tesoro nuovo di
una semplicità raggiunta dopo tanto pensiero. Ed è, infine, a quella stessa
semplicità che, dopo tanto affanno, de Kooning ha voluto e saputo condurre
anche i suoi ultimi giorni di lavoro.
Fabrizio D’Amico