mercoledì 18 aprile 2012

Leonardo Da Vinci – Trattato della pittura

Che si deve imparare prima la diligenza che la presta pratica. Quando tu, disegnatore, vorrai far buono ed utile studio, usa nel tuo disegnare di far adagio, e giudicare fra i lumi quali e quanti tengano il primo grado di chiarezza, e similmente infra le ombre quali siano quelle che sono più scure che le altre, ed in che modo si mischiano insieme, e le quantità; e paragonare l'una coll'altre, ed i lineamenti a che parte si drizzino, e nelle linee quanta parte di esse si torce per l'uno o l'altro verso, e dove è più o meno evidente, e così larga o sottile; ed in ultimo che le tue ombre e lumi siano uniti senza tratti o segni ad uso di fumo. E quando tu avrai fatto la mano e il giudizio a questa diligenza, verratti fatta tanto presto la pratica che tu non te ne avvedrai.
Leonardo Da Vinci – Trattato della pittura

Sente il fascino pittorico della superficie delle cose, ma non dimentica la fisica e l'anatomia. Doti che sembrano escludersi sono in lui riunite: l'instancabile osservazione, l'indagine comparativa di uno scienziato e la sensibilità più sottile di un artista. Non si contenta mai di avvicinarsi come pittore alle cose nella loro apparenza esteriore: con lo stesso appassionato interesse scandaglia la struttura interiore e le condizioni di vita di tutti gli esseri. È il primo artista che abbia studiato sistematicamente le proporzioni nel corpo degli uomini e degli animali e si sia reso conto dei rapporti meccanici, nell'andare, nel salire, nel sollevare pesi e nel portare oggetti; ma anche quello che ha scoperto le più lontane caratteristiche fisionomiche, meditando coordinatamente sopra l'espressione dei moti dell'animo. Il pittore è per lui il chiaro occhio del mondo, che domina tutte le cose visibili.
H. Wolfflin, Die klassische Kunst, 1899



Leonardo comincia dal di dentro, dallo spazio mentale, e non dalle linee di un contorno ben aggiustato, per finire (quando rifinisce e non lascia invece i suoi dipinti incompiuti) effondendo la sostanza del colore come un soffio che investe la concezione dell'immagine corporea propriamente detta, assolutamente indescrivibile. I dipinti di Raffaello si adagiano in 'piani' dove si compartiscono  i gruppi armoniosi, e uno sfondo limita l'insieme con molta misura. Leonardo non conosce che lo spazio unico, vasto, eterno, in cui – per così dire – si vedono le figure planare. Il primo offre nell'ambito dell'immagine una somma di oggetti individuali e contigui; il secondo una porzione d'infinito.
O. Spengler, Der Untergang des Abendlandes, 1917

Ciò che Leonardo suggerisce quando disegna, attua quando dipinge: aria, luce, moto. È un compito che da secoli si chiede al colore, e Leonardo non ha colore. Trovò a Firenze un colore vivace, atto a rendere preziosa una superficie solida. Lo rifiutò perché non si curava della superficie solida. Troppo il suo occhio vagava per i larghi orizzonti delle valli distese, interrotte da colline, limitate da montagne. Che cosa poteva significare una superficie solida per una visione lontana di larghi orizzonti? Era bene adatta a definire un corpo umano veduto vicino. Ma l'occhio di Leonardo voleva vedere lontana anche la figura umana. Da vicino ogni cosa sembra sia ferma; l'oscillamento  perenne dell'atmosfera rende leggera, come librata a volo, ogni cosa lontana. E la pace della sera, quando la penombra avvolge gli animi e le cose, dà all'orizzonte una vibrazione lenta ininterrotta. Penombra, atmosfera, moto fisico di ogni molecola dell'universo, vibrazione spirituale sperduta nel sogno, incertezza lontana di masse che si penetrano a vicenda; tutto egli converse nella figura umana... Forma senza forma. E colore senza colore. Visione cromatica della forma, attuazione formale del colore.
L. Venturi, La critica e l'arte di Leonardo da Vinci, 1919