Le forme eccessive e mostruose, di cui parla Baltrusaitis, hanno nel prodigio dell'anamorfosi una delle loro manifestazioni più evidenti. L'anamorfosi - cioè «il gioco di due spazi embricati» - non è altro che un diversivo prospettico, dove la forma prende il sopravvento, nascondendo o disvelando il proprio significato a seconda dell'angolazione dello sguardo dell' osservatore. L'anamorfosi «proietta le forme fuor di se stesse invece di ridurle progressivamente ai loro limiti visibili, e le disgrega perché si ricompongano in un secondo tempo, quando siano viste da un punto determinato.
Con Lyotard, possiamo dire che l'anamorfosi ha una funzione critica in rapporto alla rappresentazione; «è una critica attraverso il rappresentante e non il rappresentato. [ . ..] Con l'anamorfosi è attaccato il significante stesso che si rovescia sotto i nostri occhi». Le forme inquietanti, le figure distorte, la continua metamorfosi delle forme, mettono in rilievo la fondamentale presenzà dell'osservatore e del suo punto di osservazione, medium attraverso il quale le forme stesse possono «parlare». E tuttavia di fronte a esse l'occhio cessa «di essere catturato e viene restituito all'esitazione del percorso e del luogo».
Nel pensiero di Lyotard, l'analisi dei principi prospettici dell'anamorfosi diventa l'occasione per mettere in rilievo come il vedere ci ponga di fronte a delle possibilità che vanno ben al di là dello stesso rappresentabile e dello stesso dicibile. La decostruzione della retorica e del dominio del discorsivo - attraverso una trama di figure metamorfiche che sono dominate dai luoghi dell'inconscio, dove nessuna conciliazione o conclusione è data o è possibile - traspare nel gioco degli spazi dell'anamorfosi, dove ogni riferimento viene perduto.
L'epoca delle grandi narrazioni è allora per Lyotard conclusa. Il sapere si rivela invece discontinuo nel suo vagare tra frammenti e citazioni, che sono l'anima del postmoderno. Vi è in Lyotard una chiara consapevolezza delle instabilità teoriche e sociali che attraversano il mondo contemporaneo e che incidono sulla funzione, in esso, del pensiero filosofico. «I pensieri non sono frutti della terra. Se essi sono sistemati in sezioni in un grande catasto, è solo per comodità degli uomini. I pensieri sono nubi.»
Ma la nube è senza qualità, senza qualità definite, codificabili; è forma metamorfica come allo stesso modo sono metamorfici e indecifrabili i pensieri che, fugaci, cambiano continuamente forma. «I pensieri dunque non sono nostri. Siamo noi che cerchiamo di farei accogliere da essi e di farei adottare.» Tutto quindi è in corso, senza un inizio e senza una fine.
Proprio l'arte, in quanto «plasticità e desiderio, estensione curva e spazio diacritico», può opporsi a ciò che è invariabile e alla ragione. L'arte vuole figura e bellezza che, d'altra parte, è sempre «figurale, non legata, ritmica. Il vero simbolo fa pensare ma in primo luogo fa "vedere"» proprio perché si mantiene per sempre sensibile presenza «di un mondo che è una riserva di "vedute", oppure di un intramondo che è una riserva di "visioni", in ogni caso tale che ogni discorso si esaurisca prima di venirne a capo».
Si apre così quello spazio figurale, quale momento corporeo e pulsionale, che fa emergere una opacità immaginativa, solo a esso peculiare, intraducibile nella logica del discorso e della comunicazione. L'espressione artistica è il luogo della sua traduzione. Nello scarto ontologico dato dallo spazio figurale di contro a quello testuale, Lyotard evidenzia la forza del figurale stesso che si manifesta in diversi gradi: opacità, verità, evento.
È una verità mai logocentrica quella che Lyotard propone. Una verità che passa invece attraverso la figura, il desiderio, all'interno di una forza critica che prescinde da qualsiasi assoluto. I personaggi di Lyotard non possono quindi essere altri che Freud, Saussure, MerleauPonty, Cézanne, Klee, Mallarmé ... e proprio in quest'ultimo riemerge prepotente il luogo del simbolo e dell'enigma, poiché egli porta a «perfezione formale il gioco figurale della parola». Per Mallarmé, «nominare un oggetto equivale a sopprimere i tre quarti del godimento del poema, che è fatto invece della felicità di indovinare a poco a poco.
[. .. ] Ci deve sempre essere enigma in poesia; lo scopo della letteratura, altri non ce n'è, sta nell'evocare gli oggetti».
Volto grigio, collage su cartone - Gianluca Salvati 2008 |
Tuttavia è solo dall'interno del discorso che per Lyotard «si può passare alla e nella figura». Si può infatti affermare che la figura è «dentro e fuori, tant'è che detiene il segreto della conoscenza, ma al tempo stesso la rivela come un inganno». L'occhio «è nella parola», l'«occhio ascolta» proprio perché c'è nel discorso lo spazio figurale, lo spazio del desiderio, dell'energia dell'Es. Insomma, un altro spazio che è quello degli artisti e dei loro eventi, che è lo spazio dell'anamorfosi, della disarmonia, della mancanza di soluzioni pacificate, del caos, del desiderio.
Ed è proprio con Klee che Lyotard vuole entrare in un «mondo fantasmatico, in un "intramondo", in un "invisibile" che non è il rovescio del visibile ma la sua "differenza", l'inconscio rovesciato, il possibile plastico», Un Klee, quello di Lyotard, che costruisce senza un modello, «senza la pretesa di "ricostruire", più o meno velato, un "nuovo" mondo intelligibile, più "vero" dell' altro».
In tal modo traspare quello che possiamo definire il senso critico dell' arte, luogo privilegiato dove si manifesta la differenza, dove si mette in scena ciò che non si può significare, ciò che trascende la stessa possibilità espressiva e va al di là del «rapporto "entropatico", di simpatia più o meno simbolica, che l'opera instaura con l'autore o lo spettatore, rinchiudendosi, da qui partendo, all'interno di una scala di "valori", sociali o individuali».
I percorsi delle forme - I testi e le teorie, Maddalena Mazzocut-Mis