Insomma, chi diavolo è stato l'italo-argentino Bevilacqua? Il cronista interroga tutti i testimoni ancora in vita. E costoro, quando non mentono scientemente (ma come fai a stabilirlo?), dicono quell'altra specie di bugia che è la loro verità personale, il loro “innocente” punto di vista. Hanno scritto: “È un romanzo sull'impossibilità di raccontare una vita. Anche una qualunque”.
“Direi di raccontare la realtà. C'è la menzogna consapevole, diretta a nascondere, a deformare qualcosa; e c'è la menzogna genuina di chi ti fornisce la propria versione dei fatti
senza considerare che si tratta di uno sguardo parziale, condizionato da educazione, mentalità, pregiudizi. Alla fine, sulla vita di qualcuno non c'è mai consenso. Nessuna unanimità”.
Il caleidoscopio delle verità. Bell'impiccio. Vecchio come il mondo.
“Prenda Tolomeo: quando teorizzava il geocentrismo mentiva, ma in buona fede. Quella era semplicemente la sua visione del mondo. Facciamo un esempio meno roboante. Una riunione di famiglia: genitori, figli, parenti. Si rievoca il passato, memorie d'infanzia. Per uno quel tale giorno, quel tale episodio è immagine di felicità, pienezza. Ma questa frammentazione dei punti di vista non è una povertà: è una ricchezza. La realtà diventa davvero infinita appena iniziamo a raccontarla”.
Ricostruire una vita: letterariamente, non è sempre stata un'idea problematica.
“No. Però, che parlassero di un filosofo o di un imperatore, gli scrittori antichi si limitavano a una scelta di aneddoti. Con più o meno scetticismo, sembravano consapevoli di non poter raccontare tutto. E neppure lo volevano. Di Caligola, per esempio, si dice quanto basta a mostrare il tiranno. È con l'Ottocento e l'affermazione delle scienze cosiddette esatte, che prende piede l'idea totalizzante di una biografia completa, obiettiva, appunto: scientifica. La vita raccontata come fenomeno naturale in tutti i suoi aspetti. Un'illusione, ovviamente.”
Illusione che accomuna il vetero-scientismo al giallo classico, il quale ne è figlio. Nel suo libro, però, qualcuno dice che – con il loro feticismo per la ragione deduttiva – i detective finiscono con l'assomigliare agli astrologi: “Poirot e Paracelso sono fratelli di sangue”.
“Per non parlare di Sherlok Holmes. Chi indaga su un crimine ricorda chi interpreta i corpi celesti o i fondi del caffè: organizza elementi in un rapporto casuale del tutto arbitrario, inventato. E perciò, a suo modo, meraviglioso”.
Alejandro Bevilacqua è uno scrittore di genio che però, forse, non ha scritto neanche un libro.
“Si guardi intorno. Subiamo un'invasione di falsi scrittori. Falsi libri. Falsi lettori.”
Andiamo per ordine: chi sarebbero i falsi scrittori?
“Evitiamo il tiro al piccione. Ma su un Michel Houellebecq qualche sospetto mi sembra lecito. E anche su Roberto Bolaño”.
Ci permetta di dissentire. E con il vigore della massima ammirazione.
“Alcuni libri veri Bolaño li ha scritti. Ma di lì a dire, come usa ora, che è il terzo anello dopo Cervantes e Borges...”
Veniamo ai falsi libri.
“Quelli con la scadenza 'Da consumare entro...'. Concepiti con un tetto di vendite prefissato. Insomma, quelli industriali”.
Una volta ha detto: “Se oggi Borges si presentasse con un nuovo libro avrebbe difficoltà a pubblicarlo”. Esagerava?
“Macché. Sei mesi prima del Nobel, la mia amica Doris Lessing mi confessò che non riusciva a trovare un editore. Le dicevano: “Non hai più lettori giovani”. Nel mondo anglosassone i grandi autori sono tutti sopra la sessantina e, salvo eccezioni, riescono a pubblicare solo con le edizioni universitarie”.
E i falsi lettori?
“Sono i lettori-consumatori. Quelli compulsivi. Che non leggono: divorano. Dissipano”.
In Italia li chiamiamo “lettori forti”.
“Il vero lettore è un anticonsumatore. Un tipo lento. Abbastanza scettico, razionale o intelligente da chiedersi: “A che serve tutta questa velocità? È utile? È giusta?”. E così, tra le domande, inceppa l'ingranaggio industriale. Si può essere grandi lettori anche leggendo nella vita un solo libro. Guardi San Girolamo, aveva una biblioteca modestissima”.
“Direi di raccontare la realtà. C'è la menzogna consapevole, diretta a nascondere, a deformare qualcosa; e c'è la menzogna genuina di chi ti fornisce la propria versione dei fatti
senza considerare che si tratta di uno sguardo parziale, condizionato da educazione, mentalità, pregiudizi. Alla fine, sulla vita di qualcuno non c'è mai consenso. Nessuna unanimità”.
Il caleidoscopio delle verità. Bell'impiccio. Vecchio come il mondo.
“Prenda Tolomeo: quando teorizzava il geocentrismo mentiva, ma in buona fede. Quella era semplicemente la sua visione del mondo. Facciamo un esempio meno roboante. Una riunione di famiglia: genitori, figli, parenti. Si rievoca il passato, memorie d'infanzia. Per uno quel tale giorno, quel tale episodio è immagine di felicità, pienezza. Ma questa frammentazione dei punti di vista non è una povertà: è una ricchezza. La realtà diventa davvero infinita appena iniziamo a raccontarla”.
Ricostruire una vita: letterariamente, non è sempre stata un'idea problematica.
“No. Però, che parlassero di un filosofo o di un imperatore, gli scrittori antichi si limitavano a una scelta di aneddoti. Con più o meno scetticismo, sembravano consapevoli di non poter raccontare tutto. E neppure lo volevano. Di Caligola, per esempio, si dice quanto basta a mostrare il tiranno. È con l'Ottocento e l'affermazione delle scienze cosiddette esatte, che prende piede l'idea totalizzante di una biografia completa, obiettiva, appunto: scientifica. La vita raccontata come fenomeno naturale in tutti i suoi aspetti. Un'illusione, ovviamente.”
Illusione che accomuna il vetero-scientismo al giallo classico, il quale ne è figlio. Nel suo libro, però, qualcuno dice che – con il loro feticismo per la ragione deduttiva – i detective finiscono con l'assomigliare agli astrologi: “Poirot e Paracelso sono fratelli di sangue”.
“Per non parlare di Sherlok Holmes. Chi indaga su un crimine ricorda chi interpreta i corpi celesti o i fondi del caffè: organizza elementi in un rapporto casuale del tutto arbitrario, inventato. E perciò, a suo modo, meraviglioso”.
Alejandro Bevilacqua è uno scrittore di genio che però, forse, non ha scritto neanche un libro.
“Si guardi intorno. Subiamo un'invasione di falsi scrittori. Falsi libri. Falsi lettori.”
Andiamo per ordine: chi sarebbero i falsi scrittori?
“Evitiamo il tiro al piccione. Ma su un Michel Houellebecq qualche sospetto mi sembra lecito. E anche su Roberto Bolaño”.
Ci permetta di dissentire. E con il vigore della massima ammirazione.
“Alcuni libri veri Bolaño li ha scritti. Ma di lì a dire, come usa ora, che è il terzo anello dopo Cervantes e Borges...”
Veniamo ai falsi libri.
“Quelli con la scadenza 'Da consumare entro...'. Concepiti con un tetto di vendite prefissato. Insomma, quelli industriali”.
Una volta ha detto: “Se oggi Borges si presentasse con un nuovo libro avrebbe difficoltà a pubblicarlo”. Esagerava?
“Macché. Sei mesi prima del Nobel, la mia amica Doris Lessing mi confessò che non riusciva a trovare un editore. Le dicevano: “Non hai più lettori giovani”. Nel mondo anglosassone i grandi autori sono tutti sopra la sessantina e, salvo eccezioni, riescono a pubblicare solo con le edizioni universitarie”.
E i falsi lettori?
“Sono i lettori-consumatori. Quelli compulsivi. Che non leggono: divorano. Dissipano”.
In Italia li chiamiamo “lettori forti”.
“Il vero lettore è un anticonsumatore. Un tipo lento. Abbastanza scettico, razionale o intelligente da chiedersi: “A che serve tutta questa velocità? È utile? È giusta?”. E così, tra le domande, inceppa l'ingranaggio industriale. Si può essere grandi lettori anche leggendo nella vita un solo libro. Guardi San Girolamo, aveva una biblioteca modestissima”.
Blantyre order, 1997 olio su tela - Gianluca Salvati |
Come Borges.
“Si. Però lui era stato bibliotecario”.
Chissà con quanta civetteria, ma prima che scrittore si considerava lettore.
“Era una rivendicazione di libertà. Diceva: “Lo scrittore scrive quel che può. Il lettore legge quel che vuole”. Non si sentì mai obbligato a leggere un libro per intero”.
“Si. Però lui era stato bibliotecario”.
Chissà con quanta civetteria, ma prima che scrittore si considerava lettore.
“Era una rivendicazione di libertà. Diceva: “Lo scrittore scrive quel che può. Il lettore legge quel che vuole”. Non si sentì mai obbligato a leggere un libro per intero”.
Alberto Manguel intervistato da Marco Cicala