C'era una volta un pittore che amava vivere i vicoli di Napoli. Un uomo semplice e schietto che era riuscito a farsi apprezzare fin da giovane: a 28 anni fu invitato alla
biennale di Venezia.
In quello stesso periodo
c'era un camorrista, rampollo, neanche a dirlo, di una famiglia di
delinquenti. Il camorrista aveva un problema: doveva reinvestire e
riciclare i soldi sporchi che tanto facilmente incamerava. Dato che,
nella sua volgarità, si riteneva un tipo fine, decise di dedicarsi
all'arte contemporanea. Nella sua mente primitiva, aveva infatti
notato che gallerista faceva rima con camorrista, e poi
che entrambe le parole erano formate da 10 lettere! Che mente
elevata, non riusciva proprio capacitarsi di saper esprimere cotanto
genio.
Di artisti ne trovava a
bizzeffe, di ogni nazionalità, formazione e indirizzo artistico,
dato che nessuno andava per il sottile sulla provenienza di quei
soldi. Pecunia non olet, dicevano gli antichi.
Un giorno il “gallerista”
era venuto a conoscenza di quel pittore venuto dal nulla e si era
messo in testa di farne un artista della sua scuderia: voleva
lanciarlo, come si
dice in gergo.
Il pittore accettò, era una
persona di una semplicità sconcertante, parlava con tutti. Accettò
l'incarico e l'assegno di alcuni milioni, pare 10, che all'epoca
erano una vera fortuna: lo stipendio medio era di poche centinaia di
migliaia di lire. Il pittore, però, cominciò col prendere tempo
prima di onorare il patto, il
tempo passava e i quadri non erano mai pronti. Non era tanto convinto
dell'affare:
per lui la provenienza di quei
soldi faceva la differenza. Così i quadri non erano mai pronti. La
pazienza del “gallerista” cominciò
a vacillare, non ne poteva più di quelle risposte evasive, era un
tipo fine, ma fino a un certo punto. Un giorno prese di petto la
situazione e arrivò a minacciare il pittore: “Se non mi
ridai i soldi ti rompo la testa!”.
Il
pittore tirò fuori l'assegno e glielo porse: non l'aveva neanche
incassato!