I teatrini sono la testimonianza più evidente di come Melotti partisse dall’indefinito, ma con alle spalle un costante impegno di lavoro e di ricerca che gli consentiva, con chiarezza mentale tutta mediterranea, di essere libero e di divertirsi, moltiplicando le scene della fantasia, abitando il misterioso palcoscenico della poesia con fatti minimi, con i giochi, i ragni, le vigne della valle abitata dai sogni della sua prima età, con le figure e gli infiniti oggetti cari all’immaginazione dei bambini compresi nella loro capacità di dilatare lo spazio, e di contaminarlo con presenze anomale, attraverso la lunga frequentazione di tre maghi del mondo infantile: Vamba (Luigi Bertelli), Milly Dandolo e Giuseppe Fanciulli. I tre scrittori erano i difensori di quella natura bella che comprende anche gli stracci, il cartone ondulato, i gessetti colorati, il gomitolo di lana, le banderuole, la garza, i pezzetti di vetro, la stagnola, le pietre levigate dal tempo, le catenelle di ottone,lo spago, il fil di ferro: i tanti reperti di bottega, spesso salvati dalla pattumiera, che in Melotti arricchiscono i teatrini - sequenza, vere e proprie camere incantate di meditazioni domestiche dove i diavoli tentano gli intellettuali, gli eresiarchi incontrano i vescovi santi, i vizi si mescolano alle virtù, i monumenti al nulla si affiancano alla casa dell’orologiaio e agli animali sbagliati attraverso divagazioni, allegorie, dissonanze, armoniose vibrazioni e liberi contrappunti di mare e angoscia, ombre e capelli rossi, re negri e nani, preghiere per i bambini morti nei campi di sterminio e tramonti, dispute tra gli angeli, i diavoli e la morte e chiari di luna.
L’acrobata invisibile ogni volta attinge a piene mani nel magazzino delle idee per modulare scherzi e predisporre fuochi d’artificio di inutili bellezze con i quali risvegliare il fanciullo che è in noi.
[...] Melotti ama l’evasione e rincorre l’avventura ma, percorrendo le strade dell’essenzialità con la perizia dell’antico artigiano, individua subito la meta. (La costruzione raramente viene annunciata da un progetto grafico). Sfugge, in tal modo, a ogni possibile dissoluzione del linguaggio imponendosi, con la fresca spontaneità di chi ha girato le spalle alla realtà contingente, una scansione quasi sacrale dell’immagine, di continuo partecipe di un sogno a occhi aperti configurato nello spazio mediante l’attento ascolto, tradotto in segni, dell’armonia dell’universo.
[...] I richiami alle linee architettoniche di Piero della Francesca e agli ardui contrappunti di Brahms, la immediata propensione per le “divagazioni” di Matisse, per la flora cristallina e meccanica di Depero e per l’Hébdomeros di de Chirico, sono la traccia sottile del mediterraneo imenèo dei fili armoniosi della geometria con la poesia, della certezza-incertezza che regge il susseguirsi delle catarsi di una civiltà estenuata in una scultura sempre serena pur riconoscendo prolungati conflitti di sperimentazioni e di emozioni e limpidi giochi intellettuali e musicali.
I teatrini toccano l’intera tastiera fantastica di queste esperienze, ne misurano i diversi registri e i molteplici itinerari con esplorazioni, incertezze e ambiguità dagli sbocchi spesso imprevedibili e divergenti ma tutti riconducibili all’approdo unico della consonanza ritmica, dell’armonia che concilia in una idea poetica metafisica e geometrismo lirico, astrattismo architettonico e surrealismo.
Le influenze vengono aggiornate e interpretate attraverso configurazioni precinetiche e grafie musicali, aneddoti, miti e scenografie modulari (ci addestriamo alla lotta fra il visibile che si frantuma in tragedie e l’invisibile che si spegne in enigmi), senza mai scadere nel formalismo o nello strutturalismo, anzi conquistando la capacità rara di utilizzare il sole, la luce, le ombre e tutte le cose segrete, per ritagliare nell’atmosfera gli eterni emblemi della gioia di vivere che l’obliosa natura continuamente cancella.
Giuseppe Appella