martedì 30 ottobre 2012

Il pentacolo - Dan Brown | I simboli e la loro interpretazione strumentale

È un pentacolo" rispose lo studioso. La sua voce suonava più bassa del voluto, in quello spazio immenso. "Uno dei più antichi simboli del mondo. Già in uso quattromila anni prima di Cristo."
"E che cosa significa?"
Langdon aveva sempre qualche esitazione a rispondere a quella domanda. Spiegare a qualcuno il "significato" di un simbolo era come spiegargli ciò che doveva provare ascoltando un brano musicale: era una sensazione che mutava da persona a persona. Un cappuccio bianco con i buchi per gli occhi, negli Stati Uniti faceva pensare al Ku Klux Klan ed evocava immagini di odio e di razzismo, ma in Spagna richiamava immagini di fede religiosa.
"I simboli hanno significati diversi a seconda della loro collocazione" disse Langdon. "Principalmente, il pentacolo è un simbolo religioso pagano."
Fache annuì. "Adorazione del diavolo."
"No" lo corresse Langdon, pentendosi di non aver scelto termini più chiari.
Oggigiorno, il termine "pagano" era diventato quasi sinonimo di "adoratore del diavolo" ma si trattava di un grosso equivoco. La parola derivava dal latino paganus, che significava "abitante della campagna". I "pagani" erano i contadini ignoranti che rimanevano fedeli alle vecchie religioni rurali del culto della natura. Di fatto, così forte era l'avversione della Chiesa verso coloro che abitavano nelle villae rurali, che anche il termine innocuo per definire un abitante di un villaggio  - "villano" - aveva finito per assumere un carattere negativo.

Lucia Veronesi - Caracas
"Il pentacolo" spiegò Langdon "è un simbolo precristiano legato al culto della natura. Gli antichi vedevano il mondo diviso in due metà, maschile e femminile. I loro dèi e le loro dee cercavano di mantenere un equilibrio dei poteri, yin e yang. Quando il principio maschile e quelllo femminile erano in equilibrio, nel mondo regnava l'armonia. Quando erano squilibrati, vi regnava il caos."
[...] "Le religioni antiche erano basate sull'ordine divino della natura. La dea Venere e il pianeta Venere erano una cosa sola ed erano identici. La dea Venere aveva un posto nel cielo notturno ed era nota con vari nomi: Venere, la Stella dell'Est, Ishtar, Astarte. Tutti possenti concetti femminili legati alla Natura e alla Madre Terra."
A quel punto, Fache pareva ancora più preoccupato, come se in qualche modo preferisse l'idea del culto del diavolo.
Langdon decise di non dilungarsi sulla più stupefacente proprietà del pentacolo, l'origine "grafica" del suo legame con Venere. Da giovane studente di astronomia, Langdon aveva appreso con stupore che il pianeta Venere tracciava un pentacolo perfetto sull'eclittica ogni otto anni. Gli antichi che avevano osservato quel fenomeno erano rimasti talmente stupefatti che Venere e il suo pentacolo erano divenuti i simboli della perfezione, della bellezza e degli aspetti ciclici dell'amore sessuale. Come tributo alla magia di Venere, i greci avevano fatto ricorso al suo ciclo di otto anni per organizzare i giochi olimpici. Oggi poche persone sapevano che la ricorrenza, ogni quattro anni, delle moderne Olimpiadi seguiva ancora un mezzo ciclo di Venere. E un numero ancora minore di persone sapeva che la stella a cinque punte stava quasi per diventare il simbolo ufficiale delle Olimpiadi, ma era stato scartato all'ultimo momento: le cinque punte erano state trasformate in cinque anelli che si incrociavano, per esprimere meglio lo spirito olimpionico di globalità e di armonia.

venerdì 26 ottobre 2012

Rembrandt e Vermeer: il valore della luce in pittura

Luce è termine ambiguo: serve tanto spesso per Vermeer, e se saliamo al piano superiore del museo nel quale è allestita la mostra, troviamo Rembrandt; la parola luce serve anche per lui; ma la luce inventata dai due grandi, e quasi coevi, olandesi, non potrebbe essere più diversa, lontana, opposta. Mettiamo a confronto le due liste dei caratteri che in loro possiede: luce cristallizzata in Vermeer e luce dissolta in Rembrandt.  Luce squillante e luce mormorante, nitida e fusa, della materia e dello spirito, delle essenze e delle dissolvenze, della nascita e della morte, della giovinezza del mondo e della vecchiaia del mondo, luce che crea riflessi e luce che crea ombre.
Roberto Tassi

Aristotele contempla il busto di Omero, Rembrandt
 

Il predicatore Anslo e la moglie, Rembrandt




venerdì 19 ottobre 2012

Radici di Alex Haley - Griot e memoria

Poi mi parlarono di qualcosa che non avrei nemmeno sognato potesse esistere: c’erano uomini chiamati griot (e se ne trovano ancora, in certi villaggi dell’interno) che in realtà erano degli archivi ambulanti di tradizioni orali. Ogni griot aveva i suoi discepoli. Ogni discepolo, dopo aver ascoltato per quaranta o cinquanta anni il repertorio del suo maestro, diventava a sua volta griot e alle feste raccontava storie vecchie di secoli riguardanti i vari clan, le famiglie, i grandi eroi. In tutta l’Africa nera queste cronache orali si trasmettevano da un griot all’altro fin dai tempi più remoti. Certi griot di fama leggendaria erano capaci di narrare episodi di storia africana per tre giorni di seguito senza mai ripetersi.
Vedendomi sbalordito, i miei informatori mi fecero presente che per ogni cultura si può risalire a un’epoca in cui non esisteva la scrittura; a quel tempo la parola orale era l’unico mezzo per trasmettere le informazioni e la memoria l’unico sistema per conservarle. Chi vive all’interno della civiltà occidentale è talmente assuefatto alla scrittura che non può rendersi conto di cosa sia capace una memoria allenata.
Radici,  Alex Haley


Bruno Teodori

lunedì 15 ottobre 2012

Il fattore umano, Graham Greene | Ben Nicholson, l'equilibrio formale

"Lei è con noi da poco, vero? Altrimenti saprebbe che lavoriamo ciascuno in una casella distinta, si, come in compartimenti stagni."
"Continuo a non capire."
"Già, l'ha detto anche prima. Ma capire non è poi così necessario, nel nostro mestiere. Vedo che le hanno dato la stanza Ben Nicholson."
"Cosa...?"
"Io sono nella Mirò. Belle queste litografie, vero? È stata un'idea mia, quella di metterci queste riproduzioni. Lady Hargreaves avrebbe voluto delle stampe con scene di caccia. Da abbinare ai fagiani."
"Non mi intendo di pittura moderna."
"Osservi quel Nicholson. Guardi che equilibrio formale: quadrati di colori diversi, eppure convivono così felicemente insieme. Senza cacofonie. Nicholson ha un occhio straordinario. Basterebbe cambiare anche un solo colore, o le dimensioni di uno dei quadrati, e non funzionerebbe più." Indicò un quadrato giallo. "Ecco la Sezione 6. Da ora in avanti, quello è il suo quadrato. Non si preoccupi dei quadrati blu e rosso. Basta che individui con sicurezza il nostro uomo, e che lo dica a me. Lei non ha nessuna responsabilità per quello che succede nei quadrati blu e rosso. Anzi, nemmeno per quel che avviene nel quadrato giallo: lei si limita a riferire. Niente rimorsi di coscienza. Niente sensi di colpa."
"Non c'è rapporto tra un'azione e le sue conseguenze: è questo che mi sta dicendo?"

Volto grigio, collage su cartone 2008 - Gianluca Salvati
"Le conseguenze vengono decise altrove, Daintry. E non deve prendere troppo sul serio la conversazione di stasera: a C. piace lanciare in aria un'idea per vedere come cade. Gli piace scandalizzare la gente. Come con la storia dei cannibali. A quel che ne so, il colpevole, se un colpevole esiste, sarà consegnato alla polizia nella maniera più tradizionale. Non c'è da perderci il sonno. Cerchi soltanto di capire il quadro di Nicholson, in particolare il quadrato giallo. Se solo riuscisse a vederlo coi miei occhi, stanotte si farebbe una bella dormita."
Il fattore umano, Graham Greene

domenica 14 ottobre 2012

Nikos Kazantzakis - Iraklion: the grave

Non credo in niente
non ho paura di niente
sono libero.
                               Nikos Kazantzakis





Nikos Kazantzakis


Oaxaca, Messico - 2006

sabato 13 ottobre 2012

Nadine Gordimer: Sudafrica e letteratura | Regime fascista e arte

Nadine Gordimer trovò nella lettura la prima chiave per uscire da questo crudele, meschino orizzonte provinciale.
[...] Dai libri aveva imparato che esistono altri mondi, altri orizzonti. La scrittura le insegnò a crearne di suoi.
“Scrivere significa esplorare, spingersi più avanti nella realtà, e dunque comprendere. Si cerca di usare la parola per scoprire la verità, dirla, catturare il mistero della vita.
Io non proietto consapevolmente dei messaggi, non intendo suggerire un corso di azione. Voglio solo spartire ciò che vado scoprendo. Capita lo stesso quando leggo libri d’altri. Se è un buon autore, sento che quel che mi si dà è una rivelazione. Lì sta la prova. E’ proprio degli scrittori l’aver una sorta di speciale, intima consapevolezza, una percezione più acuta di ciò che la gente pensa, di quali siano i motivi ulteriori, di che cosa potrà succedere se..."
Nadine Gordimer


Lucia Veronesi, omaggio

venerdì 12 ottobre 2012

Roberto Tassi - Nicolas de Staël | Pittura figurativa e pittura astratta

Ogni volta il miracolo si ripete; de Staël ci sorprende, ci irretisce, naturale come un fiume che scorre o un albero che mette le foglie, e meditato, profondo, ricco di pensiero, sempre attentissimo a deporre il colore, e a costruirne forma e spazio, con una precisione quasi ossessiva di stesura e di rapporti.
[...] Prat ha esposto così l’arte francese ad uno dei suoi culmini in questo secolo, mescolanza di passione e di razionalità, trapassata di luce, solidamente costruita e lieve, volante quasi, nella tenerezza dei colori e dello spirito.
[...] Non si dà per Nicolas de Staël una contrapposizione tra astratto e figurativo, lui stesso scriveva nel 1952: “una pittura dovrebbe contemporaneamente essere astratta e figurativa”.
Nicolas de Staël lavorava sui limiti, dell’astratto, del figurativo, di questi vaghi concetti a posteriori. Dobbiamo riuscire a capire cosa intendesse dicendo: “Io sono unico solo per questo balzo che riesco a mettere sulla tela con più o meno contatto”. Cioè vita, energia, esplosione, anima, racchiuse nel quadro, che colpiscono chi guarda a lungo; perfezione inventata di colore, di luce, di soggetto, di rapporti, di spazio, di immediatezza, di meditazione.
Jean Luis Prat si chiede nel catalogo: “Tra la pittura figurativa e la pittura astratta, o detto altrimenti, tra la pittura di soggetto e quella di idea, non c’è posto per definire una via differente, un altro pensiero, un’altra sensibilità?”. Questo è il posto di de Staël che cammina sugli estremi della grande creazione.

sabato 6 ottobre 2012

Anna Grazia Greco, il Ministero degli Esteri e la cultura mafiosa

L'unica cultura che l'Italia esporta
è la cultura mafiosa
o, nel  migliore dei casi
la sua versione imborghesita
vedi P2, la loggia infame...

Eppure non avrei mai,
neanche immaginato che
avesse più conseguenze 
di una denuncia per mafia a Corleone.

Brutta storia la corruzione
specialmente quando la gentaglia che la pratica
(4 curnùt e 2 zòccol)
appartiene alle istituzioni
ovvero
pur lavorando per lo Stato
fattura conto terzi
rispondendo ad altro padrone.
Povera Italia...
                                       Gianluca Salvati


venerdì 5 ottobre 2012

Mo Yan - Sorgo rosso | Premio Nobel per la letteratura

Camminava imprecando ad alta voce, dimentico degli uomini e dei cani che erano a meno di cento passi di distanza. Si sentiva libero e sollevato perché soltanto la paura impedisce di sentirsi liberi.
Sorgo rosso, Mo Yan

Lucia Veronesi

martedì 2 ottobre 2012

La pittura di Giorgio Morandi - Cesare Brandi | Ciclista di Enrico Cajati

Se c’è una pittura che non ammette doppioni, è quella di Morandi. Ma è anche una pittura che, a chi capisce, insegna, e chi capisce allora, sa trovare per il futuro, una lezione salutare. La lezione della forma. Afro, al solito, cominciò ad apprenderla dai margini. Furono quadri tonali, nel senso che venivano come sommersi da un’ombra cromatica, in cui la luce era risucchiata come da una cartasuga. Basta questo per far capire come s’indirizzasse a Morandi dai margini, e non dalla struttura.
Ma era ciò che doveva sorbire da Morandi, e cioè una fusione a caldo, una visione interiore, in cui, come nelle immagini della coscienza, non si può contare le colonne del Partenone, anche se si ricordi benissimo. Questa visione interiore insegnava ad Afro – che peraltro ancora non l’aveva sceverata – a prendere l’immagine come una cosa a sé, sceverata da ogni contesto: quello in cui si inseriva era altro, e, a farlo altro, valeva la luce.
Non aveva ancora individuato la luce come uno schermo luminoso – la sua fondamentale scoperta formale – ma neanche era la luce di Morandi. La quale si poneva come matrice la luce di Piero e del Caravaggio: la luce come momento cruciale dell’apparizione della forma, la forma stessa della presenza. Con la luce e per la luce, Morandi inventò il colore di posizione, la sua suprema modalità formale.

lunedì 1 ottobre 2012

Jeanne Moreau: arte e consumo nella società contemporanea

Qual'è poi la differenza tra un grande romanzo e la letteratura da supermercato? Dopotutto, nell’uno e nell’altro c’è sempre la stessa situazione, ma nella seconda è tutto cliché. Mentre nel primo tutto è vibrazione.
Jeanne Moreau