venerdì 27 giugno 2014

Comunione e Liberazione: la compagnia degli "affari loro" a Milano e dintorni - Curzio Maltese | Enrico Cajati, "Natura morta"

[...] La destra blatera di tolleranza zero, ma non si accorge di governare da due decenni la capitale europea della cocaina. Come l'ha definita uno scienziato serio, Silvio Garattini, analisi di laboratorio alla mano: sei milioni di dosi spacciate ogni anno, oltre qindicimila al giorno. Non solo nelle discoteche, ma anche nei ristoranti, negli uffici, per strada.
La Lega è così radicata nel territorio, da armare ronde contro i poveracci, senza accorgersi che chi comanda l'esercito di spacciatori, affitta ai clandestini, traffica in armi e appalti sono i capi della 'ndrangheta. Il severo cattolicesimo ambrosiano, che non manca una messa la domenica, e neppure un affare dal lunedì in poi, finge di non sapere da dove arrivano i capitali per finanziare le imprese, la colata di cemento, la corsa all'oro nella quale sguazzano fra gli altri i compagnucci di Comunione e Liberazione.
Curzio Maltese (LaRepubblica 6/8/2010)

Enrico Cajati, Natura morta

martedì 24 giugno 2014

Il seme della verità | J. Krishnamurti, discussioni con David Bohm | Franco Chirico principale editore per il Cammino Neocatecumenale

K. - Se si pianta un seme di verità, esso deve operare, crescere, funzionare, avere una sua vita.
B. - Molti milioni di persone probabilmente hanno letto o sentito quel che dite. Eppure sembra che gran parte di loro non abbia capito. Pensate che alla fine riusciranno tutti a vederlo?
K. - No, ma la cosa va avanti, essi se ne preoccupano, e si chiedono, “Cosa intende dire con ciò?”. Il seme funziona, cresce, non è morto. Potete dire il falso e anche quello opera.
B. - Sì, ma ora abbiamo una lotta fra i due e non possiamo prevederne l’esito; non possiamo essere sicuri del risultato.
K. - Avete piantato in me il seme: “La Verità è un terreno senza sentieri”. E ancora un altro seme è piantato nella mia coscienza: “Ecco la strada che porta alla verità, seguimi”. Uno è falso, uno è vero. Entrambi sono conficcati nella mia coscienza. Così avviene una lotta. Il vero e il falso operano entrambi, e se sono sufficientemente sensibile ciò crea più confusione, più miseria e molta sofferenza. Che accade se non fuggo da quella sofferenza?
B. - È chiaro quel che accadrà se non fuggite. Avrete l’energia per vedere ciò che è vero.

Verità e realtà, J. Krishnamurti discussione con David Bohm,
professore di fisica teorica all’Universita di Londra


Cammino Neocatecumenale - Franco Chirico: "Ecco la strada che porta alla verità, seguimi"

lunedì 23 giugno 2014

Medjugorje: i francescani e radio Maria

[...] A governare occhiutamente il santuario sono i francescani (che in queste zone bellicose hanno benedetto a più riprese l'ultranazionalismo guerriero). Alla morte del maresciallo Tito, maggio 1980, il Vaticano preme affinché i frati lascino al clero secolare le parrocchie che controllano nell'Erzegovina a maggioranza catto-croata. Obiettivo: rifonderle nelle neo-diocesi che Roma intende riorganizzare sul territorio. Però i francescani puntano i piedi. Non mollano. Poi, tempo un anno, prodigio. Giugno 1981: sei ragazzini che s'erano allontanati dal villaggio - pare per fumarsi una sigaretta lontano dai genitori - tornano indietro scossi. Su una collina dicono di aver visto una figura bianca con bambino in braccio. Li invitava ad avvicinarsi. Ma ha prevalso la fifa. I sei se la son data a gambe. Inutile abbattersi: quella donna tornerà a manifestarsi. E con inedita prodigalità. Migliaia di volte.È scoppiato il caso della Gospa, la Madonna di Medjugorje. Gli ammutinati francescani se ne fanno scudo. Uno scudo che ancora regge. Benché butterato da incresciosi infortuni. Frati cacciati dall'Ordine, sospesi a divinis causa disobbedienza, ma che hanno continuato a operare in parrocchia come se niente fosse. E poi la vicenda di fra Tomislav Vlasic, figura carismatica del fortilizio medjugoriano, che venne espulso con accuse di eresia, manipolazione delle coscienze, nonché addebiti contra sextum, traduci: scappatelle sessuali. Roba così.
[...] Ma a cosa si deve lo speciale appeal che Medjugorje esercita sui pellegrini italiani? Sarebbero 600 mila l'anno. Chiedendo in giro, raccogli le seguenti spiegazioni: 1) Il santuario bosniaco attrae più di altri perché qui le apparizioni sono ancora in corso e non sigillate in un numinoso passato; 2) In Italia il culto è stato aiutato da un battage mediatico senza confronti altrove (trasmissioni tv, libri, radio religiose, testimonial di grido); 3) Il viaggio è comodo (Mistral Air effettua voli diretti sulla vicina Mostar da Napoli e Bari) e, volendo, low cost: "Andata e ritorno in pullman dalla Lombardia e sei giorni a pensione completa: 300 euro" mi dice una guida.
[...] Nelle vetrine dominano i ritratti di Wojtyla. Anche se non ci mise mai piede, fu lui il grande sponsor di Medjugorje. Per profonda devozione mariana. E perchè gli garbava assai l'idea che un nuovo, pulsante santuario cattolico aprisse una breccia nel macigno comunista. In cartolina, noto qualche foto di Bergoglio. Ratzinger, non pervenuto.
 il Venerdì di Repubblica, Marco Cicala - 14/02/2014

 
Ma la Chiesa ha davvero bisogno dei miracoli?


Le inchieste, nei tribunali ecclesiastici, hanno sempre il fine di chiarire un dubbio: an constet..., si consta di un reato, della legittima tutela di un diritto, della fondatezza di un ricorso... Quando poi di mezzo ci sono madonne, santi, miracoli, apparizioni ed altri strani fenomeni, il dubbio proposto ai giudici rimane sempre lo stesso: an constet de supernaturalitate, in casu, se consta della soprannaturalità del fenomeno sottoposto ad indagine.
E come per ogni altra sentenza anche per quelle inerenti ad accertare fatti arcani le risposte possibili sono tre. La prima: dilata et compleantur acta è interlocutoria: i giudici non sono riusciti ad acclarare nulla, e chiedono un supplemento di indagine. La seconda, quella che pone meno problemi, è negative, seu non constare de supernaturalitate, in casu: gli inquirenti hanno raggiunto il convincimento che i fenomeni analizzati sono spiegabili con le categorie della razionalità giuridica. La terza, considerata la più facilmente interpretabile, risulta invece la risposta più complessa. Infatti, se i giudici sentenziano affermative, seu constare de supernaturalitate, in casu significa che gli inquirenti non sono riusciti a trovare, facendo ricorso alle scienze umane e a quelle empiriche, alcuna spiegazione per i fatti analizzati.
Ed è proprio qui che nasce l'equivoco. Nella mentalità comune viene vista e forse anche intenzionalmente spacciata per un'approvazione, in realtà non è così: è come se la Chiesa si ritraesse dall'esprimere un giudizio lasciando liberi i fedeli di credere o meno a quanto preso in esame. E infatti, nella Chiesa cattolica nessun battezzato è obbligato a credere o meno ad alcun fenomeno soprannaturale, neanche ai cosiddetti miracoli eucaristici, e neanche alle apparizioni più care al cuore dei cattolici: Loreto, Lourdes, Fatima... E ci mancherebbe altro: solo nell'Italia degli ultimi tre decenni, sarebbero avvenute, anzi sarebbero ancora in corso, circa 150 apparizioni mariane, una trentina di stigmatizzazioni di presunti successori di Padre Pio, una cinquantina di attribuzioni divine di poteri taumaturgici ad altrettanti personaggi, in maggioranza donne. Se ci aggiungiamo gli scacciadiavoli, presto ci troveremmo tutti immersi in un Paese non di santi, ma di creduloni.
 il Venerdì di Repubblica, Filippo Di Giacomo - 14/02/2014


giovedì 12 giugno 2014

Carlo Fermi, Max Mauro, Enrico De Simone - # L'articolo I # - La Voce d'Italia, Caracas | Anna Grazia Greco, la fuorilegge

Quando Max Mauro, giornalista de La Voce d'Italia, venne a Caracas nella primavera del 2006, si era messo in testa di scrivere un articolo sulla mia produzione pittorica. Io non ero d'accordo. Per me un articolo era sensato nel caso di una mostra. Altrimenti mi sembrava una cosa a metà. Enrico De Simone concordava con la mia scelta: anche lui aveva preso a cuore le sorti della mia carriera di artista plastico. Al punto che quando ci fu la proroga del Premio Italia, edizione 2006, cui non avevo aderito, Enrico De Simone si sentì in dovere di mettersi nelle orecchie affinché partecipassi anche a quelle selezioni. Dall'idea che mi ero fatto di quel premio, gestito dalla fuorilegge Anna Grazia Greco, era solo tempo perso, non valeva la pena. Ma quando Enrico De Simone, giornalista de La Voce d'Italia, mi disse di riprovare perché era comunque una chance, allora ritentai. A questo servono gli amici. Anche se dell'amico in questione mi è rimasta stampata l'espressione di quando gli comunicai che ero stato scartato. Enrico De Simone piegò la testa senza guardarmi, come se avesse detto: "Ben ti sta!". L'amico De Simone, finto chavista e chissà quant'altro... Di certo finto amico.

Enrico De Simone, finto chavista

Tornando a Max Mauro non era del mio stesso avviso e tanto fu soddisfatto quando accettai l'intervista. Una volta avuto l'ok, aveva bisogno di vedere e fotografare i quadri. Concordammo un incontro, dopodiché mi chiamò per aggiungere che sarebbero venuti anche Enrico De Simone e Carlo Fermi, in quanto interessati al mio appartamento: volevano vederlo. 

Quando si presentarono, avevano dato appuntamento a casa mia ad un loro conoscente che tornava da un viaggio fuori Caracas. Dunque ad un certo punto scesi, lasciando a casa Carlo Fermi, Enrico e Max, andai ad attendere il taxi.

Carlo Fermi, imprenditore italiano in Colombia

Il taxi arrivò nel modo più spettacolare e chiassoso possibile. Un vecchio macchinone americano (comune in Venezuela) con un signore di colore che, visibilmente brillo e con una bottiglia in mano per attestarlo, sedeva sul cofano. Quel signore si era gentilmente offerto di indicare la strada e la indicava letteralmente. Nel taxi, oltre all'autista e all'amico degli amici, c'era anche una coppia di stranieri, pare olandesi, che avevano condiviso parte del viaggio con il conoscente dei periodisti. Al momento di rientrare nella villa, il navigatore del taxi si fece avanti per bussare a denaro. Mandai dentro l'ospite e parlai a quattr'occhi con quel signore brillo. Lo ringraziai, innanzitutto, per il suo operato, ma non avrebbe avuto niente. Il signore mi comunicò di essere armato di pistola. Gli risposi che avevo anch'io una pistola. Il finto ubriaco parve soddisfatto. Gli olandesi sembravano molto divertiti. Il tipo risalì sul cofano e partirono così com'erano arrivati, scomparendo chiassosamente dalla mia vista.

Quando salii si sentirono esplosioni di fuochi d'artificio. Qualcuno alla Florida stava festeggiando... Tess, il cane della proprietaria, si andò a nascondere spaventata in un angolo, proprio dove tenevo il portatile (lo stesso da cui sto scrivendo), che per poco non cadde a terra. Lo prese quasi al volo il nuovo arrivato che, devo ammetterlo, era uno a posto.
Mostrai a Max Mauro i quadri. Lui scattò tre foto per l'articolo di giornale. Poi uscimmo.

martedì 10 giugno 2014

# L’articolo - p. II # | Enrico De Simone, Carlo fermi e Max Mauro - La Voce d'Italia, Caracas

Andammo alla pizzeria Nonna bella di Chacaito e ordinammo delle pizze.

Scendendo da via Nivaldo, nei pressi della mia abitazione, incrociammo un tipo semi alcolizzato che nei primi tempi aveva provato a spillarmi dei soldi. Fino al giorno che,  avendomi chiesto di tenergli della refurtiva in casa, lo misi a posto una volta per tutte. Anche se quello era un quartiere residenziale, infatti, confinava con la favela, che in Venezuela si chiama rancho. La qual cosa non mi scandalizzava: mi sono sempre piaciuti i luoghi popolari. Ma quando raccontai ai compaesani la storia di quel tipo, loro si galvanizzarono, fu il tema della serata in pizzeria.


Max Mauro era in Venezuela da poco ed era stato alloggiato dal responsabile del giornale fascista per cui lavorava (La Voce d’Italia) in un albergo mal frequentato, raggiungerlo di sera a piedi voleva dire esporsi a rapina certa, dato che si trovava in una zona della città completamente al buio. Neanche fosse stata la bocca dell’inferno.

Max ci raccontò di alcuni personaggi equivoci che risiedevano nel suo hotel. Carlo Fermi scriveva messaggini a ruota.

L’altro argomento della sera, neanche a dirlo, furono i miei quadri. Le prime osservazioni partirono da Carlo Fermi, il quale quella sera era lì per puro caso: per vedere la casa dove vivevo... A seguire attaccò Enrico De Simone che, anche quella sera, mi pareva il suo fido cagnolino da compagnia. In sostanza i due compari mettevano in dubbio l’autenticità della mia produzione pittorica. 


La Voce d'Italia - 9 maggio 2006 Caracas
Da non credere, quei due vermi, due venduti agli ordini di chissà chi, che davano del veniale a me. Sembrava il colmo dei colmi. Ed erano lì per puro caso. O almeno questa era la loro versione. 
Alla fine della pizza e delle chiacchiere, Carlo Fermi tirò le fila della forbita conversazione: dato che io ero forte e non avevo paura, avrei accompagnato Max al suo albergo che non era molto distante dalla piazza. Poi sarei tornato col taxi. Lui intanto andava, perché aveva un impegno: era un uomo di mondo, lui... (È per questo che pochi anni dopo, Carlo Fermi si installerà a Medellin, capitale mondiale della cocaina, in Colombia).

“Non se ne parla”, gli risposi. Provarono inutilmente ad insistere i due compari.

Alla fine si rassegnarono: saremmo andati con Enrico e Pier ad accompagnare Max.


Eravamo nella piazza di Chacaito, stavo scrivendo l’email del Pier sul cellulare, ad un certo punto notai il negretto che guardando verso di noi, saltò giù dal muretto dov’era seduto insieme ad altri. Non ci diedi il giusto peso e quelli presero a seguirci. A un certo punto, poco prima di uscire dalla piazza, parte di quella teppa ci superò, prendendo diverse direzioni.

Neanche il tempo di raccapezzarmi e pensare: “ Ma che storia è questa?...”, che venni colpito alla nuca. Che botta!

L’ultima scena che vidi prima di perdere i sensi fu Enrico De Simone: si girava come uno che già conosca il copione e con la sua nota espressione sulla faccia abbassa la testa, come a dire: “Ben ti sta!”. E molto casualmente a lui nessuno lo toccò.


Quando mi ripresi avevo il braccio del negretto che mi stringeva al collo. Il tipo era più basso di me, ma aveva un avambraccio di tutto rispetto e si teneva ben piantato al suolo. Ebbi la mia brava reazione e provai a scrollarmi da dosso quell’animale. Gli afferrai il braccio con entrambe le mani, tirai in avanti verso il basso e gridai come un animale. Ecco, due animali.

Ero fuori forma, e il negretto non fece il volo che avrebbe dovuto fare, ma dovette muoversi in avanti con passi veloci per non cadere. Aveva le scarpe lucide di pelle con la suola in cuoio che battendo sulle pietre della piazza, producevano uno scalpiccio piuttosto acuto. La scena aveva del comico.

Si fermò di fronte a me a tre metri circa. Ci fronteggiavamo io e il negretto e il tipo fece il gesto di mettere le mani dietro la cintura per prendere il coltello.

A quel punto scappai, senza molta convinzione, mi pareva di andare al rallentatore. In quel momento uno di quei figli di troia mi lanciò una bottiglia di birra che si fracassò sulla coscia in prossimità del mio ginocchio sinistro.

Ritornai nella piazza e mi fermai. Avevo ancora il cellulare nella mano sinistra. E i miei compagni?

Un attimo dopo vidi un tipo ridicolo che correva a slalom. Era Enrico De Simone.

Non si perse d’animo il periodista di destra, quel finto chavista subito prese ad aggredirmi verbalmente: era colpa mia se ci avevano aggredito; camminavo col cellulare in mano. “E guarda lì che ti sei fatto!

Si sentì uno sparo e dopo si vide la teppaglia scappare nella nostra direzione. Ritornammo al ristorante Nonna bella. Enrico chiamò la polizia. Io mi feci dare del ghiaccio per l’ematoma della bottigliata.

La polizia era già lì. Una pattuglia in moto aveva sentito il mio grido. Poi aveva incrociato Pier che gli aveva indicato il luogo dell’aggressione. Avevano sparato in aria per disperderli. Non avevano neanche tentato, che so, di acciuffarne qualcuno.

Prendemmo un taxi per tornare a casa. Passando davanti ad una pensilina degli autobus c’erano dei ragazzi. Appartenenti a quella teppa, ci avrei scommesso. Ero ancora dell’idea che andassero acciuffati ma non lo dissi a Enrico, a che serviva.

A casa continuai a tenere il ghiaccio sull’ematoma e mi fumai una sigaretta.


Il giorno dopo Enrico De Simone mi inviò questo messaggio: Hola guerrero, todo bien?


Quando ci rivedemmo Pier non ci poteva credere: “Ti hanno aggredito in due e li hai messi fuori gioco...”. Non ricordavo che erano in due, però ripensandoci mi tornò in mente, il secondo l’avevo colpito col dorso della mano sinistra al volto. Era stata la mia reazione prima di perdere i sensi.

Più di una persona mi dirà in seguito che ho fatto male a reagire, che così rischiavo la vita e cose del genere... Sono certo che avrei rischiato di più se non avessi reagito. Erano mal intenzionati dal  primo momento, almeno nei miei confronti. A Enrico, infatti, non lo avevano neanche sfiorato. Il Pier era riuscito a divincolarsi  Max si era ritrovato a terra mentre quelli gli frugavano nelle tasche.

Su una cosa concordammo e fu abbastanza scioccante: erano tutti ben vestiti. Una élite di marioli, del tipo che lavorano su commissione. Non a caso.

Avevo da poco denunciato all’autorità competente quegli infami delinquenti in grisaglia dell’associazione Agustin Codazzi, la scuola presso cui avevo lavorato a Caracas. E meno male, ho potuto in tal modo mettere un punto fermo nei confronti di quella gentaglia appoggiata dal regime, che non avendomi mai regolarizzato avrebbe potuto inventare qualsiasi palla nei miei confronti. Fatto regolarmente avvenuto al Tribunale di Caracas, ma clamorosamente smentito.