venerdì 13 aprile 2012

Ernst H. Gombrich, arte e progresso

Anche a rischio di essere noioso mi sono riferito, a scopo comparativo, a opere che indicano la distanza posta dagli artisti tra sé e i loro predecessori. C’è, in un simile metodo di esporre, un trabocchetto che spero di aver evitato, ma che non deve passare sotto silenzio.
Si tratta dell’ingenua, errata credenza che il costante mutamento nell’arte rappresenti un progresso continuo. È pur vero che ogni artista sente di aver superato la generazione precedente ed è vero che,
dal suo punto di vista, ha realizzato un progresso rispetto a tutto quanto era prima conosciuto. Non possiamo sperare di comprendere un’opera d’arte se non siamo in grado di immedesimarci in quel sentimento di liberazione e di trionfo che l’artista deve aver provato di fronte all’opera compiuta. Ricordiamo, però, che ogni guadagno o progresso in una direzione implica una perdita in un’altra, e che, nonostante la sua importanza, a questo progresso soggettivo non corrisponde un incremento oggettivo di valori artistici.
[…] Una volta compresi questi diversi linguaggi, possiamo anche preferire opere in cui l’espressione sia meno ovvia che in Reni. Proprio come si può preferire gente parca di parole e di gesti, che lascia qualcosa all’immaginazione, così ci si può appassionare a quadri e sculture in cui sussista un margine per le congetture e per la riflessione. Nei periodi più “primitivi”, quando gli artisti erano meno abili di adesso nella rappresentazione dei volti e dei gesti umani, è tanto più commovente vedere come tentassero, comunque, di esprimere il sentimento che li urgeva.
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Ernst H. Gombrich