mercoledì 9 ottobre 2013

I percorsi delle forme - I testi e le teorie | Il figurale di Lyotard, l'anamorfosi e la qualità delle nubi

Le forme eccessive e mostruose, di cui parla Baltrusaitis, hanno nel prodigio dell'anamorfosi una delle loro ma­nifestazioni più evidenti. L'anamorfosi - cioè «il gioco di due spazi embricati» - non è altro che un diversivo prospettico, dove la forma prende il sopravvento, nascon­dendo o disvelando il proprio significato a seconda del­l'angolazione dello sguardo dell' osservatore. L'ana­morfosi «proietta le forme fuor di se stesse invece di ri­durle progressivamente ai loro limiti visibili, e le disgre­ga perché si ricompongano in un secondo tempo, quando siano viste da un punto determinato.
Con Lyotard, possiamo dire che l'anamorfosi ha una funzione critica in rapporto alla rappresentazione; «è una critica attraverso il rappresentante e non il rappre­sentato. [ . ..] Con l'anamorfosi è attaccato il significante stesso che si rovescia sotto i nostri occhi». Le forme in­quietanti, le figure distorte, la continua metamorfosi delle forme, mettono in rilievo la fondamentale presen­zà dell'osservatore e del suo punto di osservazione, me­dium attraverso il quale le forme stesse possono «parla­re». E tuttavia di fronte a esse l'occhio cessa «di essere catturato e viene restituito all'esitazione del percorso e del luogo».
Nel pensiero di Lyotard, l'analisi dei principi prospettici dell'anamorfosi diventa l'occasione per mettere in rilievo come il vedere ci ponga di fronte a delle possibilità che vanno ben al di là dello stesso rappresentabile e del­lo stesso dicibile. La decostruzione della retorica e del dominio del discorsivo - attraverso una trama di figure metamorfiche che sono dominate dai luoghi dell'incon­scio, dove nessuna conciliazione o conclusione è data o è possibile - traspare nel gioco degli spazi dell'ana­morfosi, dove ogni riferimento viene perduto.
L'epoca delle grandi narrazioni è allora per Lyotard conclusa. Il sapere si rivela invece discontinuo nel suo vagare tra frammenti e citazioni, che sono l'anima del postmoderno. Vi è in Lyotard una chiara consapevolez­za delle instabilità teoriche e sociali che attraversano il mondo contemporaneo e che incidono sulla funzione, in esso, del pensiero filosofico. «I pensieri non sono frutti della terra. Se essi sono sistemati in sezioni in un grande catasto, è solo per comodità degli uomini. I pen­sieri sono nubi.»

 Ma la nube è senza qualità, senza qualità definite, codificabili; è forma metamorfica come allo stesso modo sono metamorfici e indecifrabili i pen­sieri che, fugaci, cambiano continuamente forma. «I pensieri dunque non sono nostri. Siamo noi che cerchia­mo di farei accogliere da essi e di farei adottare.»  Tut­to quindi è in corso, senza un inizio e senza una fine.
Proprio l'arte, in quanto «plasticità e desiderio, esten­sione curva e spazio diacritico», può opporsi a ciò che è invariabile e alla ragione. L'arte vuole figura e bellezza che, d'altra parte, è sempre «figurale, non legata, ritmi­ca. Il vero simbolo fa pensare ma in primo luogo fa "vedere"» proprio perché si mantiene per sempre sensibile presenza «di un mondo che è una riserva di "vedute", oppure di un intramondo che è una riserva di "visioni", in ogni caso tale che ogni discorso si esaurisca prima di venirne a capo».
Si apre così quello spazio figurale, quale momento corporeo e pulsionale, che fa emergere una opacità im­maginativa, solo a esso peculiare, intraducibile nella logica del discorso e della comunicazione. L'espressione artistica è il luogo della sua traduzione. Nello scarto on­tologico dato dallo spazio figurale di contro a quello te­stuale, Lyotard evidenzia la forza del figurale stesso che si manifesta in diversi gradi: opacità, verità, evento.
È una verità mai logocentrica quella che Lyotard pro­pone. Una verità che passa invece attraverso la figura, il desiderio, all'interno di una forza critica che prescinde da qualsiasi assoluto. I personaggi di Lyotard non pos­sono quindi essere altri che Freud, Saussure, Merleau­Ponty, Cézanne, Klee, Mallarmé ... e proprio in quest'ul­timo riemerge prepotente il luogo del simbolo e dell'e­nigma, poiché egli porta a «perfezione formale il gioco figurale della parola». Per Mallarmé, «nominare un oggetto equivale a sopprimere i tre quarti del godimen­to del poema, che è fatto invece della felicità di indovi­nare a poco a poco. 
[. .. ] Ci deve sempre essere enigma in poesia; lo scopo della letteratura, altri non ce n'è, sta nell'evocare gli oggetti».

Volto grigio, collage su cartone - Gianluca Salvati 2008
Tuttavia è solo dall'interno del discorso che per Lyo­tard «si può passare alla e nella figura». Si può infatti af­fermare che la figura è «dentro e fuori, tant'è che detie­ne il segreto della conoscenza, ma al tempo stesso la ri­vela come un inganno». L'occhio «è nella parola», l'«oc­chio ascolta» proprio perché c'è nel discorso lo spazio figurale, lo spazio del desiderio, dell'energia dell'Es. Insomma, un altro spazio che è quello degli artisti e dei loro eventi, che è lo spazio dell'anamorfosi, della disar­monia, della mancanza di soluzioni pacificate, del caos, del desiderio.
Ed è proprio con Klee che Lyotard vuole entrare in un «mondo fantasmatico, in un "intramondo", in un "invisibile" che non è il rovescio del visibile ma la sua "differenza", l'inconscio rovesciato, il possibile plasti­co», Un Klee, quello di Lyotard, che costruisce senza un modello, «senza la pretesa di "ricostruire", più o meno velato, un "nuovo" mondo intelligibile, più "vero" del­l' altro».
In tal modo traspare quello che possiamo definire il senso critico dell' arte, luogo privilegiato dove si manife­sta la differenza, dove si mette in scena ciò che non si può significare, ciò che trascende la stessa possibilità espressiva e va al di là del «rapporto "entropatico", di simpatia più o meno simbolica, che l'opera instaura con l'autore o lo spettatore, rinchiudendosi, da qui par­tendo, all'interno di una scala di "valori", sociali o indi­viduali».
I percorsi delle forme - I testi e le teorie, Maddalena Mazzocut-Mis