Non è semplice far si che la gente ascolti, e una volta ascoltato presti anche attenzione e infine si persuada. Queste difficoltà sono radicate nel cuore stesso della condizione dell’uomo contemporaneo, perché ormai abbiamo imparato ad ascoltare e non ascoltare, ad essere presenti ed assenti allo steso tempo.
[…] Quando si fa un mestiere che si fonda sulla capacità personale di ottenere e mantenere attenzione, la distrazione, compatta e diffusa com’è a livello planetario, è precisamente la condizione ostile contro la quale si è chiamati a combattere. La distrazione, alla quale mi capita spesso di pensare come a un fortissimo rumore di fondo, è la barriera attraverso la quale lo scrittore, il pittore, il musicista e il pensatore devono aprirsi un varco. La distrazione è il confine entro il quale opera il difficile tentativo di indurre gli altri a prestare attenzione all’essenziale, nel momento in cui questa attenzione è sollecitata da ogni parte. Uno scrittore, dunque, si trova a competere non tanto con gli altri scrittori quanto con tutti i grandi poteri politici e sociali, ciascuno dei quali reclama incessantemente una porzione della nostra mente.
[…] Ma in questo vasto terreno comune di turbolenza la mente è obbligata a volare molto lontano per poter trovare un posto davvero tranquillo dove fermarsi. L’emozione diviene instabile, là dove la distrazione è così diffusa. Vasti progetti e imprese vivono della nostra attenzione e fanno di tutto per ottenerla, spesso con mezzi più ingannevoli che corretti. Ogni giorno siamo spinti a comprare automobili, cosmetici, pillole per tenerci in buona salute, antidolorifici, sonniferi, siamo invitati ad aprire conti in banca, a fare investimenti, a soddisfare i nostri capricci, a finanziare iniziative, a entrare in club, a fare vacanze all’estero, ad acquistare computer dell’ultima generazione.
Con questo non voglio mettere sotto accusa il marketing e la società dei consumi, ma accumulare prove che servano a interpretare gli effetti di queste attività commerciali, nonché di altre attività, sulla nostra mentalità e cultura.
Un professore di un’università californiana (che a quanto sembra non aveva niente di meglio da fare) ha calcolato che in un qualsiasi giorno della settimana il New York Times contiene più informazioni di quante un contemporaneo di Shakespeare avrebbe potuto raccogliere nell’arco di una vita intera.
Sono pronto ad ammettere che questo possa essere più o meno vero, anche se ho il sospetto che le informazioni in possesso di un elisabettiano di buona cultura fossero meglio organizzate rispetto a quelle dei lettori del Times. Non riesco ad immaginare che qualcuno sia disposto a leggere da cima a fondo tutte le pagine di un quotidiano. Vi assicuro che anche un lettore ossessivo, che si fosse messo in pensione o fosse ricoverato in ospedale o in preda alla disperazione, arriverebbe al massimo a poter fare in una giornata solo questo e nient’altro.
[…] La gente è fiera della propria capacità di “far tornare tutto” a dispetto della confusione che ci circonda. Molto tempo fa ho scritto che quello di cui aveva bisogno questo paese era una buona sintesi al prezzo di cinque cent. Ma che sarà di coloro che a nessun prezzo sono in grado di venire a capo di una sintesi, che sono travolti e sommersi dall’incoerenza, dallo squilibrio, dal delirio ?
[…] I media, con la loro misteriosa tecnologia, possono fare ben poco per insegnarci a leggere nei fatti. Fanno parte anch’essi dell’eccitazione che generano. Non sono in grado di fare luce sull’enormità che riferiscono. Quando ci scuotono i nervi non sembrano fare altro che rispondere a una domanda diffusa, perfino universale, a una ben individuabile richiesta di orrori.
[…] Naturalmente gli eventi in sé non sono imputabili ai media, anche se talvolta i media giocano effettivamente un ruolo negli eventi, e possono venire manipolati dai terroristi o dai governi e sedotti per diffondere disinformazione e propaganda. Questi terribili eventi sono presentati altresì in forma di intrattenimento, e devono lasciare spazio agli obiettivi primari delle reti televisive. In un medium che ha come fine l’intrattenimento, non ci si può soffermare troppo a lungo su di essi. Divengono rapidamente obsoleti.
[…] Io non propongo assolutamente niente. Il mio unico compito è descrivere. I problemi sollevati sono di ordine psicologico, religioso e – pesantemente – politico. Se noi non fossimo un pubblico mediatico governato da politici mediatici, il volume della distrazione forse potrebbe in qualche modo diminuire. Non spetta a scrittori o pittori salvare la civiltà, ed è uno sciocco errore il supporre che essi possano o debbano fare alcunché di diverso da ciò che riesce loro meglio di ogni altra cosa.
[…] Lo scrittore non può fermare nel cielo il sole della distrazione, né dividere i suoi mari, né colpire la roccia finché ne zampilli acqua. Può però, in determinati casi, interporsi tra i folli distratti e le loro distrazioni, e può farlo spalancando un altro mondo davanti ai loro occhi; perché compito dell’arte è la creazione di un nuovo mondo.