martedì 19 febbraio 2013

Peter Høeg, "Il senso di Smilla per la neve" - Groenlandia e matematica

Mi sembra necessario spiegargli il fatto della claustrofobia.
“Sai cosa c’è alla base della matematica?” dico. “Alla base della matematica ci sono i numeri. Se qualcuno mi chiedesse che cosa mi rende davvero felice, io risponderei: i numeri. La neve, il ghiaccio e i numeri. E sai perché?”
Spacca le chele con uno schiaccianoci e ne estrae la polpa con una pinzetta curva.
“Perché il sistema numerico è come la vita umana. Per cominciare ci sono i numeri naturali. Sono quelli interi e positivi. I numeri del bambino. Ma la coscienza umana si espande. Il bambino scopre il desiderio, e sai qual è l’espressione matematica del desiderio?”
Versa nella zuppa la panna e alcune gocce di succo d’arancia.
“Sono i numeri negativi. Quelli con cui si dà forma all’impressione che manchi qualcosa. Ma la coscienza si espande ancora, e cresce, e il bambino scopre gli spazi intermedi. Fra le pietre, fra le persone. E fra i numeri. Sai questo a cosa porta? Alle frazioni. I numeri interi più le frazioni danno i numeri razionali. Ma la coscienza non si ferma lì. Vuole superare la ragione. Aggiunge un’operazione assurda come la radice quadrata. E ottiene i numeri irrazionali.”
Scalda il pane nel forno e mette il pepe in un macinino.
“È una sorta di follia. Perché i numeri irrazionali sono infiniti. Non possono essere scritti. Spingono la coscienza nell’infinito. E addizionando i numeri irrazionali ai numeri razionali si ottengono i numeri reali.”
Sono finita al centro della stanza per trovare posto. È raro avere la possibilità di chiarirsi con un’altra persona. Di norma bisogna combattere per avere la parola. Questo per me è molto importante.
“Non finisce. Non finisce mai. Perché ora, su due piedi, espandiamo i numeri reali con quelli immaginari, radici quadrate dei numeri negativi. Sono numeri che non possiamo figurarci, numeri che la coscienza normale non può comprendere. E quando aggiungiamo i numeri immaginari ai numeri reali abbiamo i sistemi numerici complessi. Il primo sistema numerico all’interno del quale è possibile dare una spiegazione soddisfacente della formazione dei cristalli di ghiaccio. È come un grande paesaggio aperto. Gli orizzonti. Ci si avvicina a essi e loro continuano a spostarsi. È la Groenlandia, ciò di cui non posso fare a meno! È per questo che non voglio essere rinchiusa.”
Il senso di Smilla per la neve, Peter Høeg



mercoledì 13 febbraio 2013

Milan Kundera e Cartesio - Quel coniglio di Piero Golia

Già nella Genesi, Dio aveva affidato all'uomo il dominio sugli animali, ma possiamo anche intendere che quel dominio gli è stato dato solo in prestito. L'uomo non era il padrone ma soltanto l'amministratore del pianeta e un giorno dovrà render conto della sua gestione. Descartes compì un decisivo passo in avanti: fece dell'uomo il “signore e padrone della natura”. E c'è di sicuro una profonda correlazione nel fatto che sia stato proprio lui a negare categoricamente un'anima agli animali: l'uomo è padrone e signore, mentre l'animale – dice Descartes – non è che un automa, un meccanismo animato, una “machina animata”. Se un animale si lamenta, quello non è un lamento ma solo il cigolio di un congegno che funziona male. Se la ruota di un carro stride, non vuol dire che il carretto soffre, vuol dire che non è oliato. Allo stesso modo dobbiamo intendere il pianto di un animale e non dobbiamo rattristarci per un cane se in un laboratorio sperimentale lo fanno a pezzi ancora vivo.
L'insostenibile leggerezza dell'essere, Milan Kundera

Quel coniglio di Piero Golia, 1997 - Accademia di Belle Arti di Napoli - foto Gianluca Salvati

lunedì 4 febbraio 2013

Alberto Manguel - Marco Cicala: letteratura e consumismo | Pittura figurativa contemporanea: Blantyre order, olio su tela

Insomma, chi diavolo è stato l'italo-argentino Bevilacqua? Il cronista interroga tutti i testimoni  ancora in vita. E costoro, quando non mentono scientemente (ma come fai a stabilirlo?), dicono quell'altra specie di bugia che è la loro verità personale, il loro “innocente” punto di vista. Hanno scritto: “È un romanzo sull'impossibilità di raccontare una vita. Anche una qualunque”.
“Direi di raccontare la realtà. C'è la menzogna consapevole, diretta a nascondere, a deformare qualcosa; e c'è la menzogna genuina di chi ti fornisce la propria versione dei fatti   
 senza considerare che si tratta di uno sguardo parziale, condizionato da educazione, mentalità, pregiudizi. Alla fine, sulla vita di qualcuno non c'è mai consenso. Nessuna unanimità”.
Il caleidoscopio delle verità. Bell'impiccio. Vecchio come il mondo.
“Prenda Tolomeo: quando teorizzava il geocentrismo mentiva, ma in buona fede. Quella era semplicemente la sua visione del mondo. Facciamo un esempio meno roboante. Una riunione di famiglia: genitori, figli, parenti. Si rievoca il passato, memorie d'infanzia. Per uno quel tale giorno, quel tale episodio è immagine di felicità, pienezza. Ma questa frammentazione dei punti di vista non è una povertà: è una ricchezza. La realtà diventa davvero infinita appena iniziamo a raccontarla”.
Ricostruire una vita: letterariamente, non è sempre stata un'idea problematica.
“No. Però, che parlassero di un filosofo o di un imperatore, gli scrittori antichi si limitavano a una scelta di aneddoti. Con più o meno scetticismo, sembravano consapevoli di non poter raccontare tutto. E neppure lo volevano. Di Caligola, per esempio, si dice quanto basta a mostrare il tiranno. È con l'Ottocento e l'affermazione delle scienze cosiddette esatte, che prende piede l'idea totalizzante di una biografia completa, obiettiva, appunto: scientifica. La vita raccontata come fenomeno naturale in tutti i suoi aspetti. Un'illusione, ovviamente.”
Illusione che accomuna il vetero-scientismo al giallo classico, il quale ne è figlio. Nel suo libro, però, qualcuno dice che – con il loro feticismo per la ragione deduttiva – i detective finiscono con l'assomigliare agli astrologi: “Poirot e Paracelso sono fratelli di sangue”.
“Per non parlare di Sherlok Holmes. Chi indaga su un crimine ricorda chi interpreta i corpi celesti o i fondi del caffè: organizza elementi in un rapporto casuale del tutto arbitrario, inventato. E perciò, a suo modo, meraviglioso”.
Alejandro Bevilacqua è uno scrittore di genio che però, forse, non ha scritto neanche un libro.
“Si guardi intorno. Subiamo un'invasione di falsi scrittori. Falsi libri. Falsi lettori.”
Andiamo per ordine: chi sarebbero i falsi scrittori?
“Evitiamo il tiro al piccione. Ma su un Michel Houellebecq qualche sospetto mi sembra lecito. E anche su Roberto Bolaño”.  
Ci permetta di dissentire. E con il vigore della massima ammirazione.
“Alcuni libri veri Bolaño li ha scritti. Ma di lì a dire, come usa ora, che è il terzo anello dopo Cervantes e Borges...”
Veniamo ai falsi libri.
“Quelli con la scadenza 'Da consumare entro...'. Concepiti con un tetto di vendite prefissato. Insomma, quelli industriali”.
Una volta ha detto: “Se oggi Borges si presentasse con un nuovo libro avrebbe difficoltà a pubblicarlo”. Esagerava?
“Macché. Sei mesi prima del Nobel, la mia amica Doris Lessing mi confessò che non riusciva a trovare un editore. Le dicevano: “Non hai più lettori giovani”. Nel mondo anglosassone i grandi autori sono tutti sopra la sessantina e, salvo eccezioni, riescono a pubblicare solo con le edizioni universitarie”.
E i falsi lettori?
“Sono i lettori-consumatori. Quelli compulsivi. Che non leggono: divorano. Dissipano”.
In Italia li chiamiamo “lettori forti”.
“Il vero lettore è un anticonsumatore. Un tipo lento. Abbastanza scettico, razionale o intelligente da chiedersi: “A che serve tutta questa velocità? È utile? È giusta?”. E così, tra le domande, inceppa l'ingranaggio industriale. Si può essere grandi lettori anche leggendo nella vita un solo libro. Guardi San Girolamo, aveva una biblioteca modestissima”.


Blantyre order, 1997 olio su tela - Gianluca Salvati
Come Borges.
“Si. Però lui era stato bibliotecario”.
Chissà con quanta civetteria, ma prima che scrittore si considerava lettore.
“Era una rivendicazione di libertà. Diceva: “Lo scrittore scrive quel che può. Il lettore legge quel che vuole”. Non si sentì mai obbligato a leggere un libro per intero”.
Alberto Manguel intervistato da Marco Cicala